Boom di dimissioni tra i giovani: crolla il senso di appartenenza all’azienda
Tra le nuove generazioni crolla il senso di appartenenza all’azienda. Le dimissioni impattano sui livelli di performance e sul clima interno. Il sovraccarico di lavoro rende impossibile concentrarsi e cresce sempre più la demotivazione tra i giovani.
È in crescita la fuga dei cervelli giovani
Secondo le indagini svolte, risulta che le dimissioni volontarie fra i giovani in Italia toccano il 60% delle aziende. I settori maggiormente coinvolti sono quello Informatico e digitale (32%), produttivo (28%), marketing e commerciale (27%). A scegliere di cambiare lavoro sono soprattutto le persone di età compresa fra i 26 e i 35 anni. Siamo di fronte a un dato drammatico se teniamo in considerazione che sono proprio i più giovani a esternare una forte insoddisfazione nei confronti del mondo del lavoro. Questa tendenza, che ha colto particolarmente di sorpresa le imprese coinvolte, viene ricondotta a tre fattori principali: la ripresa del mercato, la ricerca di condizioni economiche più soddisfacenti e la speranza di trovare altrove un miglior equilibrio fra vita privata e lavoro.
I Millennials e la generazione Zeta
Da quanto emerso, è chiaro che i lavoratori italiani non si accontentano, lasciano il posto e ne cercano uno migliore. Nei primi mesi del 2021 hanno abbandonato il proprio impiego 1 milione e 362mila persone: circa il 30% in più rispetto al 2020. I protagonisti del boom di dimissioni sono i Millennials e la prima fascia della Zeta, ossia quelli nati alla fine degli anni ’90. Proprio la generazione abituata forzatamente al precariato ha imparato a cambiare posto in maniera volontaria ed è ora disposta a lasciare un ufficio sicuro. Questo significa che il modo in cui la società ci guarda e di conseguenza noi ci guardiamo, dipende principalmente dal ruolo che ricopriamo all’interno del mercato. Ne è la prova il timore che spesso i dipendenti provano quando si trovano a doversi confrontare con manager, professori universitari o con chi copre un ruolo di rilievo. Purtroppo esistono ancora pregiudizi nei confronti di professioni che vengono ritenute poco qualificate, considerate un ripiego per alcuni e l’ultima spiaggia per altri. Basti pensare alla logica che spesso spinge datori di lavoro a creare posti di impiego senza, però, tenere conto delle forme contrattuali alle quali nessuno ambirebbe.
Dunque, è chiaro che chi molla il lavoro lo fa non solo per le condizioni economiche non adeguate ma anche perché non si riesce a trovare un punto di incontro sul piano umano. A volte sembra impossibile trovare una tara che metta insieme bisogni individuali e ambizioni professionali. Pertanto, spetta alle aziende andare incontro alle esigenze dei giovani, investire sulla loro formazione professionale e capire quale potrebbe essere la destinazione giusta per imparare a camminare insieme evitando, quindi, la cosiddetta fuga dei cervelli.